Abstract: Parigi, 1885. A fine Ottocento l'ospedale della Salpêtrière è né più né meno che un manicomio femminile. Certo, le internate non sono più tenute in catene come nel Seicento, vengono chiamate "isteriche" e curate con l'ipnosi dall'illustre dottor Charcot, ma sono comunque strettamente sorvegliate, tagliate fuori da ogni contatto con l'esterno e sottoposte a esperimenti azzardati e impietosi. Alla Salpêtrière si entra e non si esce. In realtà buona parte delle cosiddette alienate sono donne scomode, rifiutate, che le loro famiglie abbandonano in ospedale per sbarazzarsene. Alla Salpêtrière si incontrano: Louise, adolescente figlia del popolo, finita lì in seguito a terribili vicissitudini che hanno sconvolto la sua giovane vita; Eugénie, signorina di buona famiglia allontanata dai suoi perché troppo bizzarra e anticonformista; Geneviève, la capoinfermiera rigida e severa, convinta della superiorità della scienza su tutto. E poi c'è Thérèse, la decana delle internate, molto più saggia che pazza, una specie di madre per le più giovani. Benché molto diverse, tutte hanno chiara una cosa: la loro sorte è stata decisa dagli uomini, dallo strapotere che gli uomini hanno sulle donne. A sconvolgere e trasformare la loro vita sarà il "ballo delle pazze", ossia il ballo mascherato che si tiene ogni anno alla Salpêtrière e a cui viene invitata la crème di Parigi. In quell'occasione, mascherarsi farà cadere le maschere...
Titolo e contributi: Il ballo delle pazze / Victoria Mas ; traduzione dal francese di Alberto Bracci Testasecca
Pubblicazione: Roma : E/O, 2021
Descrizione fisica: 181 p. ; 22 cm
Serie: Dal mondo. Francia
EAN: 9788833572864
Data:2021
Lingua: Italiano (lingua del testo, colonna sonora, ecc.)
Paese: Italia
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Dopo Valérie Perrin, bestsellerista del 2020 in Italia con il suo "Cambiare l'acqua ai fiori" (recensito dalla biblioteca pochi giorni fa), la casa editrice e/o pubblica quello che è stato il caso letterario del 2019 in Francia (e che sarà presto anche un film con la regia di Mélanie Laurent), "Il ballo delle pazze" di Victoria Mas: giovane autrice dalla bellezza molto francese al suo esordio nel romanzo, dopo aver lavorato nella scrittura per il cinema. Il ballo del titolo è quello che, nella Parigi di fine Ottocento, si teneva all'ospedale psichiatrico della Salpêtrière, e dove l'élite benpensante cittadina incontrava le «pazze» lì rinchiuse, e si mischiava con loro, per una notte, in tempo di Quaresima.
Victoria Mas, come ha scoperto questa storia?
«Conoscevo la Salpêtrière solo per nome; poi, tre anni fa, ho accompagnato un amico in visita e sono rimasta colpita dal luogo, così vecchio e imponente, e dalla strana energia che lo circondava. Così ho voluto saperne di più e ho scoperto che prima era una prigione per sole donne e poi è diventato un manicomio, e che vi si teneva davvero questo ballo, il che mi ha sorpreso moltissimo: non pensavo potesse avvenire qualcosa di simile nella Parigi di fine Ottocento».
Non è incredibile?
«Sì, è arduo pensare che le pazienti dell'ospedale, che soffrivano di problemi psichiatrici, potessero diventare una forma di intrattenimento per la borghesia. La fine del XIX secolo è talmente vicina a noi, sembra ieri».
Che luogo è la Salpêtrière?
«Fu costruito nel '700 come ospedale per ripulire le strade di Parigi da tutti gli indesiderati: vi imprigionavano prostitute, senzatetto, donne che vagavano per le strade. A un certo punto vi erano ospitate diecimila donne, in condizioni terribili. Poi fu trasformato in manicomio, anche se lo chiamavano ospedale, per donne con problemi psichici, isteriche, nevrotiche, e per tutte coloro che erano un peso per le loro famiglie».
Nel 1885, l'anno in cui è ambientato il romanzo, c'era però un grande scienziato, il dottor Charcot.
«Era il direttore della sezione delle isteriche ed è stato un pioniere nel campo, nel curare le donne e nell'utilizzo dell'ipnosi per capire le cause e i sintomi della malattia. Era un metodo innovativo per il luogo e per l'epoca, in cui non c'era attenzione all'aspetto psicanalitico o psicologico, e l'approccio era soltanto anatomico e neurologico».
La sofferenza era ignorata?
«Molte di quelle donne avevano subìto abusi fisici o sessuali, ma questo aspetto non veniva mai preso in considerazione. Si lavorava solo sull'anatomia e sull'area genitale per risolvere il problema».
L'ipnosi era come uno spettacolo.
«Le sessioni di ipnosi erano aperte al pubblico e le pazienti venivano messe in mostra di fronte a uomini di ogni tipo, non solo medici, ma anche giornalisti, artisti, borghesi. Era una forma di oggettivazione forte: le donne lì, sul palco, erano solo i loro corpi».
Chi sono le protagoniste del romanzo?
«La storia è raccontata dal punto di vista di Geneviève, l'infermiera che gestisce la sezione delle isteriche, e che è come un ponte fra due mondi, i dottori e le donne, l'esterno e l'interno; lei condivide la visione dei medici, cioè che le donne non siano delle pazienti bensì delle pazze, alle quali è data solo questa identità, e non quella di persone che soffrono».
E poi?
«Poi avverrà un grande cambiamento nel modo in cui vede le cose... Le altre donne sono costruite come degli archetipi: Thérèse che non vuole lasciare il manicomio, perché è un luogo al sicuro dalla violenza della città; Louise che è ispirata a una celebre paziente, Augustine, e come lei aspira alla fama; e poi Eugénie, che appartiene all'alta borghesia ed è stata fatta internare dal padre, perché pratica lo spiritismo. Volevo che queste donne così diverse si incontrassero e si aiutassero, inconsapevolmente».
Si tradiscono, anche.
«Quella dell'epoca era una società patriarcale, ma ho scoperto che anche matrigne, sorelle e zie portavano alla Salpêtrière figliastre, sorelle e nipoti... Non ci sono solo uomini cattivi e donne buone, anche queste ultime hanno contribuito al sistema e alla società patriarcale; e credo che la violenza faccia ancora più male, quando è una donna a voltare le spalle a un'altra».
Quanto è difficile ribellarsi in un luogo del genere, come prova a fare Eugénie?
«Eugénie vuole solo uscire e trovare persone come lei, che praticano lo spiritismo. Questa è una grossa domanda: come puoi combattere il sistema che ti imprigiona? Se urli e ti disperi serve a qualcosa, o peggiori la situazione? Pian piano, Eugénie impara che deve capire bene quando, come e con chi parlare e che non può farsi ascoltare da tutti».
Com'era il «ballo»?
«Era chiamato davvero il ballo delle pazze e si svolse per vent'anni. Per le donne era un momento di gioia, si godevano la musica, il ballo e i costumi, provavano quasi un senso di normalità e, nel periodo prima e dopo l'evento, erano molto più calme e serene».
E per il «pubblico»?
«I parigini aspettavano che succedesse qualcosa di strambo, che una donna cadesse in catalessi, o che avesse una crisi isterica... Era un divertimento, appunto. Oggi ci sembra incredibile, ma allora era normale. A Parigi c'erano gli zoo umani, ogni persona diversa diventava una fonte di curiosità e, anche, l'occasione per dirsi io sono normale e rassicurarsi di essere nella gabbia giusta: loro dentro, noi fuori».
Le «pazze» ispiravano orrore e fascino insieme?
«Quelle donne erano respinte ai margini della società, la borghesia e le loro famiglie non volevano vederle o ascoltarle ma, allo stesso tempo, esercitavano questo fascino perché erano libere, anche negli abiti, e potevano essere viste come nessuna altra donna in città».
C'è molta solitudine nella loro vita.
«All'epoca le donne non avevano tempo di essere donne: prima erano figlie e sorelle, poi mogli e madri; il fatto che le famiglie le abbandonassero le faceva sentire sole perché non riuscivano a intravedere una vita senza padri e mariti. Alcune non volevano lasciare il manicomio proprio perché lì si sentivano al sicuro e meno sole».
Questa solitudine non c'è anche oggi?
«Probabilmente sì. Non c'è lo stesso tipo di rifiuto, ma si può farne esperienza con gli amici, in famiglia e nella società: più siamo connessi dai social e più ci sentiamo soli».
Come possono aspirare alla libertà queste donne?
«Per me era importante che ogni personaggio avesse un suo obiettivo. La libertà, per loro, è poter avere una scelta, poter decidere per sé: chiedono solo questo, di poter scegliere per sé stesse».
Come si scrive in modo così delicato di un tema così duro e profondo?
«Proprio perché era un argomento così profondo e duro, ho scelto una prosa fluida e leggera. La scrittura doveva essere al servizio della storia, e non un peso o una distrazione per il lettore. Era essenziale avvicinarsi ai personaggi e poi lasciarli agire e parlare».
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