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Nel silenzio delle nostre parole
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Sparaco, Simona

Nel silenzio delle nostre parole

Milano : DeA Planeta, 2019

Abstract: È quasi mezzanotte e una nebbia sottile avvolge la metropoli addormentata. In un palazzo di quattro piani, dentro un appartamento disabitato, un frigorifero va in cortocircuito. Le fiamme, lente e invisibili dall'esterno, iniziano a divorare ciò che trovano. Due piani più in alto, Alice scivola nel sonno mentre aspetta il ritorno di Matthias, il ragazzo che ama con una passione per lei nuova e del quale non è ancora riuscita a parlare a sua madre, che abita lontano e vorrebbe sapere tutto di lei. Anche Bastien, il figlio della signora che occupa un altro degli interni, da troppi mesi ormai avrebbe qualcosa di cruciale da rivelare alla madre, ma sa che potrebbe spezzarle il cuore e non trova il coraggio. È un altro tipo di coraggio quello che invece manca a Polina, ex ballerina classica, incapace di accettare il proprio corpo dopo la maternità, tantomeno il pianto incessante del suo bambino nella stanza accanto. Giù in strada, nel negozio di fronte, Hulya sta pensando proprio a lei, come capita sempre più spesso, senza averglielo mai confessato, ma con una voglia matta di farlo. Per tutti loro non c'è più tempo: un mostro di fuoco sta per stravolgere ogni prospettiva, costringendoli a scelte estreme per colmare quei silenzi, o per dare loro un nuovo significato. Simona Sparaco indaga i momenti terribili in cui la vita e la morte si sfiorano diventando quasi la stessa cosa, e in cui le distanze che ci separano dagli altri vengono abbattute dall'amore più assoluto, quello che non conosce condizioni. Vincitore del premio DeA Planeta 2019.

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Davide Ricci
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Che titolo è "Nel silenzio delle nostre parole"? Come si fa a star zitti parlando? O a parlare in silenzio? Beh, se siete genitori sapete benissimo come si fa. Nelle famiglie si fa così. Si passano anni nel silenzio delle tante parole pronunciate ogni giorno senza dire. E poi, quando la vita si condensa in un momento fatale, che spesso è l’incontro ravvicinato con la morte, ci sembra all’improvviso così assurdo di aver sprecato tanto tempo, e che non ce ne sia rimasto neanche un po’ per dirci tutto, ma veramente tutto, le cose che una figlia a una madre, o un padre a un figlio, non ha mai detto.

Simona Sparaco di queste cose se ne intende. Di genitori e figli: appartiene alla specie delle «mamme riflessive»: alleva pensando. La consuetudine con un bambino le ha già ispirato buona parte della sua attività letteraria, e anche quest’ultimo libro, vincitore del Premio DeA Planeta, per sua stessa ammissione è del genere. «Se mi guardo indietro, mi sembra di non aver fatto altro nella scrittura che scandagliare il legame potente e ancestrale che esiste tra un figlio e chi lo ha messo al mondo per fare luce sulle mie ombre, e aver scritto questo romanzo proprio mentre mi accingevo a diventare madre per la seconda volta ha reso questa esperienza narrativa una delle più formative della mia carriera, e della mia vita».

Solo che per aggredire questo misterioso involucro dell’amore che non comunica, e provare ad aprirlo, ci vuole una fiamma, meglio ancora un fuoco. Ed è esattamente un incendio l’evento intorno al quale la scrittrice costruisce la sua «storia di storie», raccontando vite che si intrecciano, porta dietro porta, in uno stesso condominio, nelle poche ore precedenti a una fatale combustione, che trasformerà uno stabile del quartiere Kreuzberg a Berlino in una orribile torcia che consuma vite di uomini; un po’ come accadde alla Grenfell Tower di Londra, la vicenda reale che ha smosso nella scrittrice la voglia di dare voce a quelle che chiama le «scene madri», «momenti in cui la vita e la morte si sfiorano fino a confondersi, restituendo alla genitorialità un ruolo centrale».

Così, come capsule lanciate nello spazio e nel futuro, dalle finestre di quel rogo voleranno giù un quaderno e un neonato. Entrambi si salveranno, e saranno il seme che una generazione sfortunata lascerà alla precedente, quella dei genitori, riaprendo un dialogo che la vita aveva spezzato o sopito, e che paradossalmente la morte riapre. Il quaderno, un diario, una sorta di confessione inconsapevole, cambierà la vita di una madre italiana che aveva sostituito apprensione e accudimento alla curiosità e alla condivisione della vita della figlia, all’estero per un Erasmus. Un errore frequente: «Quando mio figlio diventa la mia ragione di vita, significa che ho abbandonato la ragione invisibile della mia vita».

Ma l’amore di una madre può far sragionare. E farle capire quando è troppo tardi. E anche il dolore allora è diverso: «Non esiste un nome che possa catalogare un genitore che ha perso un figlio: quando avviene il contrario si diventa orfani, quando si perde un marito o una moglie si diventa vedovi, ma per un genitore che perde un figlio, un termine, nella lingua italiana, non c’è». Forse — si suggerisce nel libro — la parola giusta è «amputato».

È evidente il tributo che il racconto paga alla storia vera della giovane ragazza italiana morta nell’incendio della Grenfell Tower a Londra, e l’autrice ricostruisce con grande energia narrativa la struggente telefonata finale ai genitori della sua protagonista, mentre il fuoco le è già addosso.

Il bambino che vola dalla finestra, perché la mamma lo getta nelle braccia di una donna sperando che lo raccolga, è invece quasi un secondo parto per una giovane immigrata di origine baltica, dopo che il primo, quella vero, l’aveva trascinata nella depressione, spingendola a un sordo rifiuto della maternità, e alla seduzione del suicidio.

E poi c’è la vicenda di un uomo pieno di cicatrici che «sono come storie». La mamma gli spiegava da bambino che anche l’ombelico è una «ferita rimarginata», «un segno, la prova che una volta eri dentro di me è che c’è stato un tempo in cui abbiamo condiviso lo stesso cibo, lo stesso ossigeno, lo stesso corpo». Quell’uomo, ormai adulto, si ricongiungerà al corpo della madre issandolo sulle spalle, novello Enea che si mette in viaggio per fondare una nuova vita.

Il romanzo della Sparaco è denso di umanità, nella sua forma più contorta e complessa, quella che unisce i genitori ai figli e i figli ai genitori. Ed è — cosa rara per la letteratura italiana — un romanzo europeo, ambientato in una Berlino dove si respira un’aria cosmopolita, dove si incontrano famiglie provenienti dall’Algeria, dalla Turchia, dalla Lettonia, dall’Italia. Su tutte domina, visibile da ogni finestra, la grande mongolfiera di Die Welt. Il cavo che la tiene legata al suolo è quasi una metafora dei legami che stringono tra loro le generazioni, quella che vuole volare e quella che vuole trattenere. Ma non abbiate paura di quel legame, alla fine salverà il mondo. Perché «non c’è morte che non presupponga una rinascita. Imparare a decifrarla può dare un senso a tutto ciò che resta. Persino alla cenere».

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