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Addio alla provincia rossa
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Caciagli, Mario

Addio alla provincia rossa

Roma : Carocci, 2017

Abstract: Delle due grandi subculture politiche territoriali del sistema italiano la "bianca" scomparve con la dc, mentre la "rossa" ha avuto una lunga agonia. Questo libro è frutto di ricerche pluriennali su una delle zone più rosse della Toscana rossa, il Medio Valdarno Inferiore. Facendo ricorso a una molteplicità di strumenti di indagine, in particolare a quattro serie di interviste in profondità condotte fra il 1984 e il 2006, sono state ricostruite le origini della subcultura alla fine dell'Ottocento, le sue componenti distintive (strutture, luoghi della memoria, miti, riti, valori) fino agli anni Ottanta del Novecento e, infine, la sua crisi e la sua dissoluzione nel nuovo secolo.

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La prima cosa da fare è ringraziare Mario Caciagli per aver condotto questa ricerca, con costanza e per così tanto tempo, sulla cultura comunista nell'area della provincia di Pisa detta anche "zona del Cuoio", essendo i comuni coinvolti (San Miniato, Santa Croce s.a., Montopoli ecc.) centri di uno dei più importanti distretti conciari italiani.
Ed è veramente bello che Caciagli abbia avuto la tenacia e la forza per chiudere questa lunga ricerca (che ha coinvolto anche diversi collaboratori, tra cui Carlo Baccetti e M. Carrai), durata oltre trent'anni e che ha raccolto oltre 250 intervistati.
Il testo che ci consegna infatti non è una collezione di studi già pubblicati, ma una muova rielaborazione del materiale accumulato e una riflessione originale che rimette in gioco anche quello che lui stesso aveva scritto nel corso degli anni (anche in polemica, scientifica, con altri politologi italiani come Ilvo Diamanti).
Mario Caciagli è uno dei massimi esperti italiani di scienza politica (attualmente prof emerito dell'Università di Firenze); è un profondo conoscitore delle dinamiche dei partiti politici (anche a livello europeo) e conosce bene anche il basso Valdarno, in cui in parte è vissuto e vive.
Tema e cuore del libro, la dinamica della subcultura politica comunista in questo territorio. Una subcultura che ha le sue origini in quella socialista e anarchica di fine secolo, ma che ha anche radici profonde nel senso civico, nel mutualismo mazziniano/repubblicano e nel municipalismo di queste terre.
Certo Caciagli è consapevole che definire una cultura politica è come tentare di inchiodare un budino al muro. Eppure con questa prova si cimenta, con ironia e con la passione più distaccata possibile (ha diretto anche l'Istituto Gramsci Toscano).
Ne esce fuori una storia di famiglia ed in particolare delle famiglie rosse del basso Valdarno, anche perché tra le fonti che l'A. usa per raccontare la storia di questa evoluzione (che ha anche un po' il sapore di un giallo...rosso) ci sono 4 o 5 cicli di interviste a elettori (e a volte militanti) comunisti nell'arco di tempo che va dal 1984 al 2006. A fianco di queste fonti "orali", che Caciagli usa in maniera deliziosa (con citazioni gustose e molto significative), l'A. utilizza giornali e riviste locali, ricerche sociologiche, fonti d'archivio (anche se quelle del PCI sono molto lacunose), dati elettorali e dati Istat, pubblicazioni e studi accumulati da lui e da alcuni sui collaboratori. Insomma una bibliografia sterminata che accompagna una ricchezza di fonti documentaria importante.
Il fenomeno della cultura "rossa" del Basso Valdarno viene quindi inquadrato nel contesto più generale della trasformazione socio economica dell'area, che evolve da zona mezzadrile e parzialmente industriale a comprensorio a prevalenza industriale e di servizi, con uno spazio agricolo sempre più marginale e abitativo.
Ma la forza e la crescita della subcultura rossa Caciagli la riporta alla mezzadria e soprattutto alla capacità di riscatto che la cultura comunista assegna al mondo contadino locale. Ma va anche aggiunto che altrettanta forza il PCI la trova nello sviluppo industriale conciario e nei lavoratori finiti in fabbrica dopo l'esperienza dei campi. Perchè se tantissimi mezzadri dal 1946 in poi si iscriveranno e voteranno per il PCI nei comuni del Cuoio, altrettanti operai di S. Croce e Ponte a Egola e molti padroncini (soprattutto tra i contoterzisti) prenderanno la tessera del partito, militeranno nelle sue sezioni territoriali e voteranno il PCI alle elezioni politiche e amministrative. Mezzadri e operai sono dunque per l'A. gli ancoraggi sociali forti della subcultura rossa della Terra del Cuoio. Logico quindi che la crisi di questa cultura si manifesti con la fine della mezzadria e con l'avvento della società postindustriale, perchè, scrive Caciagli, il vero capolavoro del PCI da queste parti è stato catturare i mezzadri e poi tenere insieme operai e padroni nelle fabbriche: gioco questo che ha funzionato bene per 40 anni (il tempo di giungere a maturità ed invecchiamento della generazione che aveva vent'anni alla fine degli anni '40) e poi ha cominciato a sfaldarsi.
Va precisato che tutto questo avviene grazie anche alla creazione di una "corona" di associazioni ed enti satelliti che si radica nel territorio e che consente alla cultura rossa (e al PCI) di creare una egemonia territoriale forte che consente di: a) controllare una numerosa base elettorale (in alcuni comuni a sud dell'Arno i voti arriveranno anche al 70% dell'elettorato nel secondo dopoguerra), b) controllare le amministrazioni comunali e quindi rafforzare ancora di più l'egemonia locale; c) avere forza contrattuale rispetto ai proprietari agricoli e alle imprese; d) orientare lo sviluppo socio-culturale locale; e) affermare una forte presenza nel mondo della scuola (tra maestri e professori).
Il volume scandaglia poi il mondo dei valori comunisti, le feste, i simboli, la diffusione della stampa, la memoria, la tradizione antifascista e quella che potremmo definire la quotidianità comunista, ovvero quell'insieme di comportamenti e di riti che facevano sentire i comunisti delle persone "diverse", delle persone speciali, moralmente un po' superiori (vero o falso che questo sentimento fosse). Un po' come è tipico di tutte le "sette religiose".
Il libro analizza anche il difficile passaggio della cultura comunista da una generazione all'altra (in particolare da quella dei nonni-ventenni alla fine degli anni '40- a quella dei nipoti) e il ruolo dei nonni nella conservazione e nella trasmissione dei valori e della memoria.
Ma nelle circa 400 pagine di testo l'A. mette una tale quantità di carne al fuoco che non è possibile farne il riassunto in poche frasi.
La parte finale è poi dedicata alle ragioni del declino della cultura rossa nel Basso Valdarno, con note comparative rispetto ad esiti analoghi rintracciabili in altre regioni europee (come Germania, Francia, Austria).
Nell'insieme, ripeto, si tratta di un lavoro straordinario che meriterebbe di essere esaminato e sezionato punto per punto, perchè tante delle osservazioni di Caciagli potrebbero essere considerate solo punti di partenza e non di arrivo. Ma questo gioco di inchiodare il budino non è possibile nemmeno per me e quindi mi limiterò a poche annotazioni che mi sembrano più significative.
Comincio da una nota bianca. La subcultura rossa del Cuoio infatti convive e si affianca per 60 anni con una forte subcultura bianca (quella cattolica/democristiana per intenderci) e perfino con una subcultura nera (quella fascista).
I cattolici manterranno nel Cuoio (soprattutto sul versante lucchese dell'Arno, ovvero a Nord) alte percentuali di penetrazione e i comuni di Castelfranco e Santa Maria a Monte vedranno questa cultura contrastare con quella rossa e a tratti prendere il sopravvento nelle amministrazioni locali. Del resto anche la cultura bianca ha costruito nel "Cuoio" una sua corona e una sua capacità egemonica che certo affonda le radici più nella tradizionalista cultura lucchese bianca che in quella rossa del resto della Regione.
La seconda riguarda il terreno privato (morte, battesimo, cresima, comunione e matrimonio). Su questo piano la cultura rossa, che pure recuperava l'anticlericalismo anarchico e socialista di fine ottocento, non spodestò mai nel Cuoio la cultura e i valori cattolici; e questa "criticità" del "privato" rosso (che Caciagli non sottolinea abbastanza) costituisce a mio avviso uno dei fattori di debolezza della cultura rossa, che si evidenzierà soprattutto quando gli individui perderanno un po' di senso di appartenenza alla classe (mezzadrile e operaia) e si troveranno di nuovo a fare i conti con la propria individualità.
La terza annotazione è che la cultura rossa non è rimasta immobile per tutto il dopoguerra, ma è evoluta, secondo una gittata lunga e fortemente differenziata. La cultura rossa è cambiata nel corso degli anni. E' traghettata infatti da una fase fortemente rigida, dura, "antisistemica" e rivoluzionaria (tipica degli anni '40 e '50, l'epoca dei comunisti stalinisti, per semplificare) a quella più sistemica e riformista degli anni 60/80, fino a diventare una cultura integrata nel sistema nazionale ed in quello europeo degli anni '80/'90, quando il PCI concluse la sua parabola e si sentì perfino obbligato a cambiare nome, tanto la sua "natura" e quindi la sua "cultura" era mutata. Di questa trasformazione Caciagli non fornisce il senso forte (ma mi rendo conto che per trattare una cosa del genere gli ci sarebbero volute altre 200 pagine di testo e il volume avrebbe assunto un carattere troppo faticoso).
Come testimonianza di questa evoluzione radicale della subcultura rossa indicherei, ad es., il filosovietismo e l'antieuropeismo degli anni '40 e '50 che si rovesciano in filoeuropeismo e nella morte del mito dell'URSS negli anni '70 e poi '80. Il che però significava che i termini di "bene" e "male" con cui erano stati vissuti il filosovietismo e l'antieupeismo si rovesciano e provocano smarrimento.
Un altro elemento che cambia e stravolge la cultura rossa è l'avvento dei diritti civili (rivoluzione sessuale, divorzio, aborto, libertà personali). Tra gli anni '60 e gli anni '80 infatti il paese passa da una cultura fortemente collettivista ad una cultura più individualista e liberale e questo modifica i modi di pensare anche sul piano locale.
E' quindi la somma delle trasformazioni locali e di quelle nazionali (ed internazionali) a sfarinare la subcultura comunista anche in questa parte della Toscana. Perchè se ad. es. molti vecchi comunisti restano "sentimentalmente" filosovietici (perchè rompere col mito sarebbe troppo doloroso), tanti giovani comunisti rigettano la mitologia sovietica, non vedendo affatto in quel paese un "paradiso sulla terra", ma semmai un grande Gulag da cui prendere le distanze.
Aggiungo che tra gli ancoraggi culturali della subcultura rossa non ci sono quasi mai riferimenti ai libri. Caciagli non parla quasi mai testi sacri. Marx e Lenin non sono quasi mai citati. Stalin molto di più. Anche Gramsci è presente. Ma a parte le "Lettere dal carcere", l'opera di Gramsci è troppo complessa per diventare una lettura popolare. Insomma alla cultura rossa, al popolo rosso, è mancato (nel "Cuoio" come altrove) un testo di riferimento chiaro, forte, stabile, a cui si potesse tornare nei periodi di crisi per fare domande ed ottenere risposte. E anche se "Il manifesto dei comunisti" di Marx sarà sicuramente stato citato nelle interviste realizzate tra gli anni '80 e il 2006, questo opuscolo non può assumere nè il valore nè la forza evocativa paragonabile a quella recitata dalla Bibbia nella cultura bianca . Non a caso anche di recente un importante esponente politico post-comunista toscano, che tra l'altro è tornato a parlare di "rivoluzione socialista", alla domanda di quali testi suggerirebbe ai giovani di leggere oggi, ha risposto indicando il XXIV Capitolo della "Teoria generale dell'occupazione.." di John Maynard Keynes (sic!) e "L'attesa della povera gente" del messianico ma cattolicissimo fiorentino Giorgio La Pira (un testo che in Italia non risulta più ristampato dal 1983).
Confesso che il libro di Caciagli mi ha poi stimolato moltissime altre e, almeno per me, intrigantissime riflessioni sulle quali però non è il caso qui di dilungarsi, avendola io già fatta troppo lunga.
Concludo invece dicendo che, diversamente da quanto in parte sostiene Caciagli, credo che molti degli elementi che formarono la subcultura rossa in Italia e nella zona del Cuoio non solo preesistessero all'avvento del "comunismo" nostrano ma siano ancora vivi anche se poco vegeti e ormai poco diffusi e praticati. Mi riferisco a forti sentimenti di antimilitarismo, antistatalismo, anticapitalismo, anticlericalismo, gusto per la cooperazione collettiva, senso civico, profondo senso di giustizia e di egualitarismo. Tutti questi sentimenti e valori erano molto radicati in queste aree della Toscana e in diverse aree del paese prima del XX secolo e sono rintracciabili anche adesso all'inizio del XXI, ma in forma assai più blanda, minoritaria e mescolata. La vera "magia" che seppe realizzare il PCI nell'area del Cuoio, in Toscana ed in molte aree del paese per un trentennio, fu di riuscire a fondere tutti questi elementi in un insieme culturale e nel riuscire a farlo funzionare come identità a sostegno della propria politica che divenne in molti contesti (come quello del Cuoio) largamente egemone.
Da questo punto di vista oso sostenere che se la subcultura rossa si è certamente sfarinata, molte delle sue componenti chimiche sono disperse nell'ambiente almeno toscano e altrettanto potenzialmente potrebbero essere riaggregate sia pure impastate con miscele politiche diverse. Anzi di fatto lo sono. Perchè ad es. il grillismo toscano pesca molto nelle componenti chimiche "un tempo rosse" anche se le mescola con elementi provenienti da altre esperienze e da altre subculture.
In fondo, è questa la mia tesi, le culture politiche reimpastano sempre elementi che sono già presenti nell'aria e sul terreno ovvero si trovano radicati nelle mentalità e nelle tradizioni dei popoli e dei microcosmi. Questi elementi però sono "cangianti" e sfuggenti e quindi sono difficili da definire con precisione (anche in un libro) e da chiarire esaustivamente. Perchè cambiano impercettibilmente ma continuamente e sono influenzati da mille fattori. Per questo il volume di Caciagli è un'opera preziosa. Perchè tenta davvero di inchiodare il budino al muro e in gran parte, devo dire, ci riesce.

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